Ruzzese: il ritorno di un grande vino

Dalla tavola del contadino ai banchetti papali, passando per un oblio durato più di un secolo. Fino a una ricomparsa che si preannuncia trionfale

La storia del recupero del vitigno Ruzzese ad opera dell’azienda Cà du Ferrà, ha il sapore di un romanzo d’avventura. E come ogni buona storia che si rispetti, tutto ha inizio (quasi) per caso.

Succede infatti che Davide e Giuseppe, giovani titolari dell’azienda vitivinicola con sede a Bonassola, partecipino a un convegno sui vitigni recuperati, desiderosi di conoscere il passato della viticoltura costiera della Liguria. È a Vernazza, comune delle Cinque Terre, che vengono a conoscenza della storia di una varietà ligure unica nel suo genere e sconosciuta ai più, anche ai liguri: il Ruzzese.

Questo antico vitigno a bacca bianca, tipico del Levante ligure, nell’area compresa tra Bonassola, le Cinque Terre e i Colli di Luni, conquista subito i due intraprendenti produttori. Non solo perché il recupero di un vitigno dimenticato sedurrebbe qualsiasi cuore romantico e impavido, ma anche e soprattutto per la sua incredibile storia. Una storia degna di un Re, anzi, di un Papa.

A partire dal VI secolo d.C, il vino Ruzzese dalle coste liguri in cui nasce e si sviluppa, spicca presto il volo, e dalle tavole dei contadini raggiunge Roma, destinato a fare grandi cose. La sua amabilità, la sua forza e struttura sono infatti ben presto apprezzate dai commensali più blasonati. Le sue qualità si diffondono di bocca in bocca, fino a raggiungere il banchetto più ambito: la mensa papale. Si narra infatti che il vino Ruzzese fosse molto apprezzato da Papa Paolo III Farnese, in carica dal 1534 al 1549, e che il suo bottigliere Sante Lancerio, sommelier ante litteram, lo avesse proposto al Santo Padre in qualità di uno dei migliori vini che l’Italia enoica potesse offrire a quel tempo.

Per più di quattro secoli, dalla metà del Cinquecento fino ai primi del Novecento, questo passito di carattere troneggia sulle tavole più importanti, versato non solo nel bicchiere ma anche nel piatto, come ‘condimento’ per la zuppa, anche dallo stesso Papa.

La fine di un sogno

Ma l’incanto, come spesso accade, a un certo punto svanisce. Verso i primi del Novecento, per il Ruzzese inizia infatti un lento declino che lo porterà via via a scomparire dalle tavole liguri, e non solo, per più di un secolo. La Fillossera, temutissimo insetto che tante vittime dalla foglia stellata miete, colpisce anche la vite Ruzzese, raggiungendo l’Europa dall’America e sterminando interi vigneti e mettendo in ginocchio migliaia di contadini.

La storia vuole che la marchesa di Villa Durazzo di Genova Pegli e Valpolcevera, per lenire le sofferenze dei coltivatori e ristabilire la viticoltura, offrì loro dei tralci di vite trovati in mezzo alla macchia mediterranea, tralci da cui ha origine il vitigno Bosco, che per molto tempo offuscherà la memoria del Ruzzese, sostituendolo per oltre un secolo.

Il ritorno sulle tavole

A rinvenire il Ruzzese dal suo passato glorioso, sarà determinante il ruolo di Regione Liguria che intorno al 2007 decide di coinvolgere il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino e l’Istituto Nazionale di Protezione Sostenibile della Vite. È così che il Prof. Mannini e la Prof.ssa Schneider, come dei talent scout, partono alla scoperta dei vitigni storici della Liguria. Perlustrano tutto il territorio, da Ponente a Levante, dal mare ai monti, fino a imbattersi nel comune di Arcola in una misteriosa pianta madre, con un ceppo importante da cui, una volta estratta la sequenza genetica, individueranno proprio lo storico Ruzzese che stavano cercando.